19 ottobre 2012

Un'opportunità

Lavorare in biblioteca è ovviamente un'opportunità.
Oggi, ad esempio, ci ho scovato Umberto Eco che dava 38 consigli di buona scrittura...

1.Allontanati dalle allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2.Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3.Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

4.Esprimiti siccome ti nutri.

5.Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

6.Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

7.Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.

8.Usa meno virgolette possibili: non è "fine".

9.Non generalizzare mai.

10.Usare le parole staniere non è bon ton e potrebbe portare a misunderstandings.

11.Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: "Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu".

12.I paragoni sono come le frasi fatte.

13.Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s'intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

14.Solo gli stronzi usano parole volgari.

15.Sii sempre più o meno specifico.

16.La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.

17.Non fare frasi di una sola parola.

Eliminale.

18.Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente. Non usare metafore incongrue anche se ti paiono "cantare": sono come un cigno che deraglia.

19.Metti, le virgole, al posto giusto.

20.Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

21.Se non trovi l'espressione italiana adatta non ricorrere mai all'espressione dialettale: peso el tacòn del buso.

22.C'è davvero bisogno di domande retoriche?

23.Sii chiaro e coinciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando le frasi lunghe - o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento (o di scarsa sottigliezza) - affinché il tuo discorso, ancorché utile, non contribuisca a quell'inquinamento dell'informazione che certamente (specie quando il tuo periodare sia inutilmente farcito di precisazioni ultronee, termini obsoleti, anafore o catafore poco disambiguabili, ircocervi lessicali) è sempre segno di mala affectatio - e pertanto non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, e soprattutto guardati da quei tecnicismi che eccedono le competenze cognitive del destinatario, evitando pertanto deep structures rizomatiche (per quanto ti appaiono come altrettante epifanie della differanza grammatologica e invitino alla deriva decostruttiva) - ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica.

24.Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

25.Non si apostrofa un'articolo indeterminativo prima di un sostantivo maschile.

26.Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

27.Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

28.Scrivi in modo esatto i nomi stanieri, come Beaudelaire, Rooswelt, Niezsche, e simili.

29.Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva anche il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l'autore del "Cinque maggio".

30.All'inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

31.Cura puntiliosamente l'ortograffia.

32.Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

33.Non andare troppo sovente a capo.

Almeno,

non quando non serve.

34.Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

35.Non confondere la causa con l'effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato. 36.Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

37.Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

38.Una frase compiuta deve avere




Ovviamente, un'opportunità.

4 ottobre 2012

Francesco, ma fammi il piacere!

Quand'ero piccolina, ogni anno mio papà incorniciava la tristezza dell'ultimo giorno di vacanza al mare con la considerazione che tutte le cose belle devono finire. Altrimenti, non sarebbero speciali.

Ora che piccolina non lo sono più, e mio papà ha preso a incorniciare questa, di tristezza, rinnovandomene giorno per giorno la consapevolezza, sono però convinta che, anche se non finissero, sarei comunque in grado di apprezzarle come si deve, le cose belle. E sarebbero speciali forse ancora di più, perché si lascerebbero assaporare con lentezza, senza l'agonia del conto alla rovescia che incalza.

Insomma è un po' come quando si canta
Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente,
ma finalmente accettermo il fatto come una vittoria...

E poi si pensa
Francesco, ma fammi il piacere!

6 marzo 2012

Il brevetto

Un viaggio in treno di cinque ore può chiarire molte cose.
Io, ad esempio, ho deciso cosa farò da grande: brevetterò un aggeggio.

Simile ad un fermacarte, ma molto, molto più pesante: dovrà essere in grado di fermare il tempo. Dovrà avere un che di aspirapolvere, ma molto, molto più potente: mi impongo che sappia intrappolare anche la più microscopica briciola di felicità.
Ci metterò un pulsante, con scritto avvia.
Avvia e il tempo che corre è invece fermo e la minuscola felicità di un attimo è in trappola. 

Vi faccio un esempio.
Avvia e una passeggiata notturna in una grande città ormai addormentata resta eternamente a disposizione, come una fotografia, certo, ma pronta ad essere ripercorsa.
Avvia e il chiacchiericcio sguaiato davanti ad un'anatra caramellata non ha scampo, e diventa eterno, pronto ad essere rigustato.
Avvia e un viaggio in treno non dura più cinque ore, ma un cinque moltiplicato, e allora sai quante cose vengono chiarite.

Che poi è un po' come diceva il giovane Caulfield.

Certe cose dovrebbero restare come sono.
Dovreste poterle mettere in una di quelle grandi bacheche di vetro e lasciarcele.
So che è impossibile. Ma è un gran peccato lo stesso.

21 gennaio 2012

Se son d'umore nero, allora scrivo...

Potrei farmi una trasfusione di noncuranza.
Pare sia quella, il vaccino contro la rabbia.
L'ergastolo che inchioda la superbia.
Il movente che scagiona la verità.
Oppure, meglio, potrei farmi una trasfusione di modestia.
Metterla in circolo e farla diventare il mio sangue.

E poi donarlo, questo sangue.

Verità riconosciuta.
Superbia decapitata.
Rabbia debellata.

11 gennaio 2012

Tieni, è gratis.

Se c'è una cosa che proprio mi illumina, quella è la gentilezza. Gratuita.
Vedersi recapitato un aiuto non richiesto, eppure essenziale.
Incassare un complimento non necessario, eppure cortese.
Mi lascia intravedere un barlume di speranza.
E pensare che proprio ieri ho scoperto che chi vive sperando muore cantando.
Speriamo.

La la la la la la la la-la.

22 dicembre 2011

Ulisse

Mia cara amica linguista,
ti copio, lo giuro, per oggi solo e mai più, ma come posso parlare di lei senza rendere conto di quel desiderio che il suo nome trascina?
Non posso, del resto, aspettare domani per averla con me come spesso canticchio, è arrivata già ieri pur senza invito, e ancor oggi, insolente, permane, e non smette di farsi di notare.
Povera me, altro non è che l'unione del Νόστος, il ritorno al paese, e quel dolore che è Άλγος, eppure sconcerta e disarma e rattrista.


Tutte le volte che ci vediamo mi pare che il tempo non sia passato e questo mi rende felice.
Si chiama nostalgia.

24 ottobre 2011

Piacere!

Vorrei fare una summa di ciò che mi ha fatto piacere, ultimamente.
Un elenco non interessante, perdio! (e confuso, peraltro!).
Un piacere dalle poche pretese, s'intenda (un sorriso prima di abbandonarmi, la sera, al cuscino).
Eppure piacere.
Riassumo così:
La preoccupazione di chi si è preoccupato in un momento preoccupante.
L'attivazione di chi si è attivato per rendere il momento meno preoccupante.
Le chiacchiere richiestemi di venerdì pomeriggio.
Le chiacchiere strappatemi con una telefonata serale.
Il "Chiara" urlato in corsa da una rotonda.
La torta nera cucinata al mattino.
I dolci aromatizzati all'Earl Grey.
La palla di riso e cioccolato dalla consistenza discutibile.
Gli dei indiani.
Insomma, piacere.
Un piacere dalle poche pretese, s'è detto (un sorriso, sì, un sorriso notturno).
Eppure, piacere.